“Vorrei che questa sera facessi una cosa per me” – disse lui con lo sguardo fisso sulle sagome sfocate del mondo fuori la finestra, velate dalla tenda bianca.
Seduta sul divano, a poca distanza da lui, con gli occhi fissi sul profilo del suo viso, nel contrasto della luce del tramonto, il suo volto assunse la forma perplessa e meravigliata di chi non si aspetta una richiesta cosi indefinita.
“Mi spaventi!” – rispose abbassando lo sguardo sul lembo di tessuto beige che li separava.
“Sei sempre dell’idea che devi difenderti da me?” – replico’ lui con tono fermo.
“Non voglio difendermi da nessuno” - obietto’ prontamente.
“Vuoi fare una cosa per me?” – di nuovo lui voltandosi dritto verso la ragazza, stavolta con voce risoluta.
“Cosa hai in testa?”
“Raccontami una fiaba” - senza aggiungere altro.
Lei mosse lo sguardo di scatto e confusa lo guardo’ negli occhi: “Una fiaba? Ma io non conosco fiabe da raccontare ne sarei capace di farlo!”. – affermo’ senza esitazioni.
“Non voglio ascoltare una storia che e’ stata gia scritta , ma qualcosa che non e’ mai esistito e mai esistera’” – replico’. “Sapresti farlo.”
Catturata da quella risposta, si lascio’ cadere con la schiena sul divano in un tonfo morbido, sciolse le gambe che teneva incrociate e le lascio oscillare oltre la soglia del velluto a coste. Rimase in silenzio, le pupille nere, incastonate in quegli occhi nocciola, rispecchiavano la luce dorata del sole che annunciava la fine di un altro giorno. Abbandono’ con leggerezza entrambe le mani sul ventre e con imprudente disattenzione gli angoli della bocca si trovarono a formare, in una linea immaginaria, un cerchio perfetto che li ricongiungevano agli occhi. L’esatta misura di un sorriso che ti appare all’improvviso dalla nebbia fitta. Assorta, con la testa immobile adagiata sul divano da cui si affacciava una coda di capelli neri, gli occhi incollati al soffitto, presagiva che la risposta che a breve avrebbe dovuto dare non determinava unicamente il seguito di quella serata, ma avrebbe cambiato anche quello in cui lei stessa credeva, il destino gia scritto di alcune persone.
“Lo faro’, ma ad una condizione” – sentenzio’ con la sua voce gentile.
“E cosa dovrei essere disposto ad accettare per avere questo in cambio?” – rispose lui, posando velocemente gli occhi sulle sue mani e portare nuovamente il volto in direzione del sole che emanava gli ultimi raggi di luce, prima di inabissarsi oltre l’orizzonte.
“Che non me lo chiederai mai piu’. Che se dovessi decidere di farlo, accadra’ solo questa sera e per entrambe rimarra’ un ricordo, di quelli che ci si domanda senza risposta se sia mai esisito veramente”. - disse lei con tono imperativo.
Lui increspo’ le sopracciglia, passo’ nuovamente lo sguardo sulle sue mani delicatamente posate l’una sull’altra, poi resto’ immobile sul suo volto pulito, cercando ancora l’ombra di quel cerchio immaginario che andava sfumando.
“Per una fiaba da raccontare, tutto questo?” – rispose quasi con diffidenza.
“Queste sono le mie regole!”.
Lei si alzo’ all’improvviso, ritirando le gambe sul divano, insistendo sul volto stupito di lui.
“Va bene. Accetto le tue regole” .
La sua risposta fu quasi immediata. Lascio’ l’aria fluire senza controllo fra le corde vocali.
“Raccontami una fiaba e poi ce ne dimenticheremo.”
Il sole ormai era scomparso, solo le luci artificiali della stanza li illuminavano seduti una accanto all’altro, disperdendo le loro ombre . Il tempo si era congelato in quell’istante. Lui era pronto ad ascoltare, lei aveva promesso di raccontare. Nessuno dei due aveva idea chi avesse dovuto muoversi per primo.
“Posso almeno spegnere le luci e creare un’ atmosfera?” – provo’ lui a prendere l’iniziativa.
“Puoi fare cio’ che vuoi”.
Si alzo’ dal divano e con lo stesso strumento con cui accendeva quelle sigarette che l’avrebbero ucciso, diede la fiamma a tutte le candele profumate che trovo’ intorno. Poi con molta fretta torno’ a sedersi e ordino’ imperativo all’assistente vocale: “Spegni tutto!” – con voce frenetica e incerta. La stanza si trasformo’ in un mondo di luce palpitante, i profumi delle candele si mischiarono a creare un aroma sconosciuto. Le ombre proiettate sulle pareti si muovevano quasi a seguire il loro respiro.
“Sdraiati e chiudi gli occhi” disse lei muovendo il suo corpo all’indietro e posizionandosi seduta, con il busto eretto, poggiato allo schienale del divano.
“Le fiabe vanno ascoltate senza guardare”. - sussurro’.
Lui si posiziono’ sdraiato, la vide per l’ultima volta come un ombra sfocata e abbasso’ le palpebre. L’assenza di suoni avvolse la stanza. Un interminabile intervallo.
Quando la sua voce avrebbe preso la scena in quella quiete?
Sentiva il tessuto soffice sotto di lui, lascio andare le braccia lungo i fianchi e rimase in attesa continuando a percepire il calore del corpo di lei sulla parte sinistra del suo volto; richiamava alla memoria la fiamma di un camino, che bruciava silenziosa in una sera d’autunno.
Ancora silenzio.
Una pausa soffocante.
E proprio quando lui stava per riaprire gli occhi, ritenendosi vittima di un imbroglio, ecco che un suono vivo rimbalzo’ dalla parete opposta giungendo alle sue orecchie. Era la prima nota della sua voce. Trattenne il respiro per un attimo, poi espiro’ di nuovo.
Lei inizio’ a parlare.
“Il nome del luogo dove questa storia ha avuto il suo inizio e la necessaria fine, non ci e’ dato di saperlo. Neppure l’epoca ci e’ nota. Si sa solo che e’ stata tramandata da generazione a generazione, con la precauzione, di tutti i narratori, di farla arrivare ai giorni nostri autentica come la prima volta che e’ stata raccontata.” – intono’ con la sua voce.
Da quel momento in poi, non si prese neppure una pausa nella narrazione.
“Si racconta di due personaggi, una ragazza che diceva di chiamarsi Moon, che aveva intrapreso un viaggio in quella terra a noi sconosciuta per comprendere se stessa. Aveva lasciato tutto: gli affetti, gli averi, ogni sorta di legame, con la fede che esplorando terre sconosciute, imbattersi ogni giorno in persone straniere, l’avrebbero portata a scolpire una sua strada, a definire un percorso verso un futuro che poteva solo immaginare, a riordinare i suoi pensieri passo dopo passo, come si cerca il tassello di un puzzle in mezzo ad un mucchio di pezzi che sembrano tutti uguali, ma solo uno e’ quello fondamentale che comporra’ l’immagine voluta. Aveva stabilito una regola. Prendere brevi appunti in un diario e non interrompere mai quel viaggio. A qualsiasi costo.
Dell’altro personaggio si conosce poco. Ma non sara’ il suo nome o la sua eta’ a cambiare il corso della storia; certo, quel poco che sappiamo e’ che si racconta fosse vittima di un incantesimo, che ci si voglia credere o meno, Moon e’ questo che lascio’ scritto nel suo diario. Quando venne ritrovato , poi perduto per sempre, chi lo lesse osservo’ che ben quattro pagine erano state dedicate a quello strano incontro. Ce lo ricorda cosi.
Moon una sera, durante il suo viaggio, si trovo’ a fare una sosta in un piccolo paese. Era un luogo silenzioso, di poche anime, perfetto per riposarsi e riprendere il cammino il giorno successivo. Vagabondo’ per gli stretti viottoli che separavano le poche case esistenti in quel posto e noto’ sopra ad un portoncino una tavola,di legno chiaro, su cui era stata scavata, sicuramente a mano, una scritta, poi impregnata di una qualche vernice nera: “Ristoro”. Le sembro’ l’unica porta giusta a cui bussare. Lo fece.
Non rispose nessuno.
Si guardo’ intorno e da una piccola finestra, nella casa di fronte, vide la sagoma di un uomo che era intento ad armeggiare con qualcosa, forse posata sopra ad un tavolo. Era l’unica forma di vita, si avvicino’ con tutte le attenzioni per non essere notata. Osservando da breve distanza lo vide contemplare un fiore: un’orchidea. Ruotava il piccolo vaso e posizionava ogni volta il fiore ad un angolazione di luce diversa. Un orchidea viola, un fiore bello raffinato e misterioso. La stessa impressione che aveva dell’uomo che lo manipolava. Non che fosse bello ne all’apparenza raffinato. All’improvviso la porta alla quale aveva bussato pochi istanti prima si apri’. Si volto’ di scatto e vide la sagoma di una donna minuta, con una grande chioma di capelli neri e un largo vestito di colore bianco.
“Posso fare qualcosa per te?”
“Avrei bisogno di mangiare e un letto per questa notte, domani ripartiro’ ” – rispose, presa alla sprovvista.
“Accomodati” – replico’ la donna voltandole le spalle.
La segui’ all’interno della piccola abitazione chiudendo l’uscio dietro di se. C’era una scala in legno che portava al piano superiore, alla sua destra due poltrone di tessuto marrone, intorno ad un piccolo tavolino rotondo, sempre in legno e nella parte speculare si trovava un tavolo con quattro sedie posizionato al centro di quella che poteva essere una cucina, dotata del minimo necessario. Tre lanterne ad olio agli angoli del piccolo spazio, senza mura che lo dividessero, illuminavano di una luce rossastra gli oggetti e le sagome delle due donne, diffondendo nell’aria un odore acre.
“Puoi sederti qui.” Disse la donna dai voluminosi capelli neri. “Ti preparero’ qualcosa poi ti portero’ nella tua stanza” – non disse altro.
Moon si sedette, adagiando la sacca con le poche cose che aveva con se, sul pavimento.
La donna si mise di fronte al banco della minuscola cucina, voltandole le spalle. Lei inizio’ ad osservare le pareti tutte intorno e qualcosa le provoco’ una vibrazione. C’erano delle tele appese disordinatamente in ogni muro e in ognuna di queste qualcuno aveva dipinto un fiore; da quello che riusciva a vedere anche una data. Un’ orchidea. Subito le torno’ alla mente l’uomo curioso che aveva poco prima intravisto, attraverso quella finestra che si apriva sul viottolo, ruotare in modo bizzarro quel vaso, esponendo ogni angolo alla luce.
“Non puo’ essere casuale” – mormoro’ dentro di se. Il suo desiderio di sapere la porto’, senza rendersene conto, oltre ad ogni previsione si fosse in grado di fare di quel giorno, in quel piccolo paese sperduto e senza denominazione.
“Signora potrei chiederle una cosa?” – si lascio andare, volgendo lo sguardo alla sagoma di capelli neri che voluminosi ricadevano sul vestito bianco della donna, di cui ancora non conosceva il nome.
“Dimmi” – rispose lei, senza voltarsi e continuando ad armeggiare sul banco della minuta cucina.
“Mentre attendevo che qualcuno mi aprisse, ho intravisto un uomo dalla finestra della casa di fronte, ho provato a farmi notare, visto che sembrava l’unico abitante del paese” – menti’ su questo, ma non aveva un’altra valida alternativa - “non mi ha degnata di una risposta e l’ho visto scomparire oltre una porta. E’ il suo vicino? E’ sempre cosi scontroso?” – avverti’ la sensazione che stava andando oltre, ma avrebbe avuto solo quella occasione e voleva giocarsela fino in fondo.
La donna dei capelli neri rimase in silenzio, arresto’ le braccia che armeggiavano su un piatto di coccio e una ciotola di legno, li afferro’ con le mani e voltandosi si diresse verso Moon. Li poso’ sul tavolo di fronte a lei.
“La tua cena e’ pronta.” – senza dire altro.
Moon la ringrazio’. Mosse lo sguardo sul cibo appena offerto e afferro’ con la mano destra il cucchiaio di legno che era stato precedentemente disposto sul tavolo. La donna si volto’ nuovamente di spalle e in silenzio inizio a lavare tutti gli strumenti che aveva appena terminato di utilizzare.
Moon alzo rapidamente gli occhi verso di lei e nuovamente sussurro’ a se stessa: “Non avrei dovuto farle questa domanda”. Poi riempi il cucchiaio di quella che aveva tutto l’aspetto di una zuppa di legumi e lo indirizzo’ verso la bocca, malgrado la sua diffidenza verso il cibo che non sapeva riconoscere.
“Come ti chiami?” – risuono’ nella stanza la voce della donna dai capelli neri.
Moon fece ricadere il cucchiaio nel piatto, alzo’ nuovamente il viso verso le spalle della donna e le rispose: “Mi chiamo Moon”.
Silenzio.
“Cosa cerchi dentro di te e non trovi per avere intrapreso questo viaggio?” – chiese la donna con una voce arcana.
Moon rimase attonita. La donna che fino a quel momento aveva scelto sempre il silenzio e non aveva neppure risposto ad una sua domanda, ora chiedeva chiarimenti sul motivo per cui si trovasse li.
“Sono solo di passaggio, non sto cercando nulla.” – rispose accennando un sorriso che sarebbe apparso, a qualunque osservatore esterno, dissimulato.
Silenzio.
La luce che emanavano le lampade ad olio inizio’ a vibrare e l’odore acre di bruciato sembrava essersi trasformato in un aroma dolciastro. Moon si sentiva come camminare su una corda tesa nel vuoto, lei che non avrebbe dovuto lasciarsi condizionare da nessun evento le fosse occorso in quell’avventura, se non annotare sul suo diario di pagine bianche, di carta fatta a mano, poche righe delle esperienze vissute e poi dimenticarsene. Rileggerle un giorno, o forse mai. Una donna senza nome, un uomo solo intravisto da una finestra, stavano urtando contro la rigidita’ che si era imposta.
“Cerchi la tua via lottando con i tuoi pensieri” – inizio’ a parlare la donna – “osservi il mondo, lo vivi, a volte sei distante, altre sei partecipe, ma l’ombra che vedi proiettata di te quando cammini, anche per sentieri mai percorsi, ti inquieta. A volte vorresti essere sola, altre hai bisogno di sentire una spalla su cui poggiarti. Sai di esistere, ma non riesci ad armonizzarti con l’energia che emana l’universo. Il tuo viaggio e’ questo. Scoprire nella speranza di scoprirti. Sei abile a vedere oltre, ma non ne hai controllo. Ti immedesimi negli altri fino al punto di credere di essere loro. Mostri, a chi ti e’ di fronte, un sentiero ben illuminato che li rassicuri, poi ti perdi nel buio della notte. E non resta nulla.”
Moon ascoltava incredula.
“Ci sara’ una voce, lungo il tuo cammino, che cosciente della tua abilita’, ti chiedera’ di addentrarti nelle infinite possibilita’ dell’animo umano, per diradarne la foschia; ma lascia stare l’uomo che hai visto questa sera. Non riuscirai a credermi, e’ vittima di un incantesimo e non e’ in grado di provare emozioni, sono ingabbiate dentro di lui, non puo’ ascoltare, ne essere ascoltato” – continuo’ la donna “non potrai fare nulla per lui, come lui non potra’ fare nulla per te”.
Moon rimase impassibile ad ascoltare la donna dai capelli neri.
“Finisci il tuo pasto e domani prosegui il tuo cammino” – disse senza lasciare spazio ad una replica.
Moon non fece nulla di piu che afferrare di nuovo il cucchiaio, lasciato cadere nel piatto e terminare la cena. La donna, che era tornata silenziosa, attese impassibile che Moon ultimasse tutto il cibo. Poi si mosse verso un angolo della casa, affero’ con la mano sinistra una lanterna e la porto’ con se. Si diresse nuovamente vero l’angolo opposto e con la mano disponibile prese l’altra. Di nuovo torno’ nella cucina e con un soffio spense quella rimasta. Torno’ da Moon, le porse una delle due lanterne che lei afferro’ incerta e, sempre senza parlare, si avvio’ verso la scala in legno che portava al piano superiore. Moon intui’ che la stesse accompagnando per la notte e con la mano rimasta libera afferro’ la sacca e segui’ la donna. Il cigolare dei gradini in legno della scala gli fecero strada fino al piano superiore. Un piccolo atrio, di forma quadrata e tre porte. La donna indico’ la porta di sinistra.
“Questa e’ la tua stanza per la notte”.
Moon annui’.
Spostando lo sguardo sulla porta che si trovava di fronte a loro: “Questo e’ un piccolo bagno”
E voltando la testa verso l’ultima porta rimasta, non disse nulla. Moon comprese senza fare domande che quella fosse la camera della donna. Sempre senza aggiungere altro, la donna apri’ la sua porta e scomparve dietro la luce traballante della lanterna. Moon fece lo stesso, poso’ la sacca a terra e con la mano libera spinse la porta verso l’interno. Avanzo’ il lume e si trovo’ di fronte un letto, una finestra e una piccola scrivania di legno che appariva consumata dal tempo. Recupero’ la sacca, entro’ nella stanza, chiuse la porta dietro se, poso’ la lanterna sulla piccola scrivania, lascio’ cadere tutti i suoi averi nuovamente sul pavimento e si adagio’ sul letto. Erano passate poche ore dal suo arrivo in quello sconosciuto paese, ma i pensieri iniziarono ad invaderla.
“Chi e’ questa donna?” – disse a voce alta mentre lo sguardo puntava alla piccola finestra.
“Chi e’ quell’uomo” – si domando’ nuovamente, senza muovere lo sguardo.
Ma la domanda che piu’ la tormentava era: “ Perche’ la donna dai capelli neri sembra conoscermi?”
Rimase qualche minuto immobile e in silenzio, poi si alzo’ dal letto, si tolse i vestiti lasciandoli cadere sul pavimento, snodo’ il legaccio che chiudeva il suo fagotto e tiro’ fuori un piccolo diario, dalla copertina di pelle nera dove era impresso, color oro, il simbolo di una luna. Frugo’ nuovamente ed estrasse una piccola scatola di legno. Al suo interno un’ampolla in vetro che conteneva dell’inchiostro nero e una piccola penna stilografica che terminava con una piuma senza alcun valore. Poso’ i tre oggetti sul letto, si oriento’ per dar modo alla luce della lanterna di raggiungere le pagine, ancora bianche, del diario ed inizio’ a scrivere parole che si andavano ad aggiungere al racconto della sua vita.
Poi il silenzio e il buio.
Il mattino seguente, fu svegliata molto presto dal bagliore che si diffondeva dalla finestra. Usci’ dalla stanza, si rinfresco’ nel bagno che la donna la sera prima le aveva indicato, prese tutte le sue cose e scese al piano di sotto. Di lei non c’era traccia, ma sul tavolo della cucina era pronta una colazione. Si guardo’ intorno e, senza poter fare domande a nessuno, capi’ che era stato tutto preparato per lei. Si sedette e la prima cosa che vide posata sul tavolo, fra alcune ciotole di legno, era un enorme foglio bianco ed una sola riga scritta con una grafia perfetta: “Non mi devi nulla per la notte. Oggi riprendi il tuo cammino e non voltarti indietro”.
Quelle poche parole, ancora una volta, la lasciarono attonita. Cerco’ di mangiare qualcosa, anche se il suo stomaco in quel momento non era disposto ad accettare cibo. Decise che era il momento di andare. Si alzo, si infilo’ la sacca sulle spalle e si avvio verso la porta. Alzo’ il braccio in direzione della maniglia, ma all’improvviso arresto’ il movimento. Si volto’ di nuovo, passo’ con lo sguardo tutta la stanza e disse ad alta voce:
“Signora e’ in casa? Io sta andando via”. Nessuno rispose.
Il respiro, senza volerlo, le rimase sospeso, per non disturbare la sua attenzione. Ancora qualche attimo e si rassegno’ alla circostanza che la donna non era in casa. Poi istintivamente torno’ con lo sguardo verso il tavolo della cucina, si avvicino’ nuovamente, prese l’enorme foglio bianco dove la donna aveva impresso una sola riga, lo ripiego’ su se stesso e se lo mise nella tasca posteriore dei pantaloni.
Chiuse la porta dietro di se e senti’ sul volto la carezza del sole del primo mattino. L’aria era fresca, il cielo limpido, di un azzurro brillante. Cerco’ di ricordarsi da quale direzione era arrivata e sorridendo sussurro’: “E’ buffo prestare attenzione all’orientamento quando cammini senza conoscere la tua destinazione. Da quella parte!” – inizio’ ad avviarsi.
Nel movimento gli occhi si imbatterono nuovamente nella finestra della casa di fronte. Le persiane erano serrate. Tutto il corpo’ si irrigidi’. Moon all’istante disse ad alta voce dentro di se: “Devi proseguire il tuo cammino!”. Poi, come in un sogno ad occhi aperti, inizio’ a fluire, in trasparenza davanti a lei, tutto quello che aveva vissuto in quelle poche ore: l’uomo intravisto nell’ombra, l’orchidea, la donna dai capelli neri, i dipinti alle pareti, il sentiero ben illuminato, il buio della notte, il foglio bianco che diceva di non voltarsi mai. Una serie di emozioni l’avvolsero e smise di avvertire il tempo che fluiva verso l’istante successivo. Come si trovasse, immobile, in un eterno attimo presente.
Poco distante da quella finestra vide la porta dell’abitazione dell’uomo. Era socchiusa. Non l’avrebbe mai fatto, se una spinta invisibile non l’avesse trascinata contro la sua volonta’. Si trovava in piedi ad un passo dall’uscio, leggermente aperto. Getto’ lo sguardo nello spiraglio, ma non riusci’ a vedere nulla. All’improvviso, dall’interno della dimora, viaggiando velocemente nell’aria, le giunse il suono di una voce che chiamava il suo nome.
“Moon”
Fu presa dallo sconforto. Probabilmente l’uomo la stava osservando nell’ombra, mentre lei era intenta scrutare all’interno della sua casa. Rimase paralizzata.
“Devo trovare un valido motivo per giustificarmi del fatto che sto guardando dentro casa di uno sconosciuto” – si disse, con una rapidita’ che non aveva mai sperimentato prima.
“Gli diro’ che ho visto la porta rimasta aperta. E anche se non sembra assolutamente un valido motivo, gli faro’ credere che sono apprensiva e mi preoccupo anche delle porte degli altri” – non le venne in mente nulla di meglio. Stava per rispondere, quando un altro quesito le si propose, con la stessa velocita’ sperimentata poco prima, nella testa:
“Come fa a conoscere il mio nome?” – si domando’ ancora una volta.
“E’ chiaro, la donna!” – fulminea – “Deve essere stata lei. Le avra’ riferito che ho fatto domande su di lui, anzi peggio, gli avra’ raccontato anche che l’ho definito scontroso, quando mi sono inventata la storia di averlo chiamato per chiedere delle informazioni e lui si e’ voltato dall’altra parte. Perfetto direi!” – la situazione stava precipitando, ma ormai era senza alternative.
“Buongiorno signore!” – decise finalmente di arrendersi, senza farsi troppi pensieri su quello che sarebbe potuto accadere di li a breve. Ma dall’interno non arrivo’ nessuna risposta.
“Deve essere un abitudine degli abitanti di questo paese lasciarti senza una replica” – si prese una parentesi di ironia.
Credendo di non essere stata udita, si avvicino’ alla porta e la spinse fino ad aprirla completamente. Dentro di se era in subbuglio, ora le sarebbe apparsa di fronte la sagoma dell’uomo e sarebbe iniziata la parte piu difficile. La luce del giorno illumino’ l’interno della casa, ma non vide nessuno.
“Buongiorno signore.” – disse ancora, alzando il volume della voce. Silenzio. Non ci fu’ nessuna risposta. Senza rendersene conto, entro nel piccolo appartamento. Le finestre, se ce ne fossero state, sembravano tutte chiuse con gli scuri e l’unica fonte di luce era quella che proveniva dalla strada, proiettando la sua ombra sul pavimento. A differenza della casa della donna, dove aveva fatto sosta la notte appena trascorsa, oltre il piccolo atrio d’ingresso, erano disposte quattro porte. Tutte erano chiuse.
“Che sia riuscito a vedermi attraverso delle porte chiuse?” – si domando’ dubbiosa.
Poi, con una sfrontatezza che non aveva mai avuto prima, si diresse verso una delle porte e l’apri’. La stanza sembrava essere quella dove aveva visto la sera prima armeggiare l’uomo con il fiore. Si volto’ alla sua sinistra e la conferma le arrivo’ quando vide la finestra che dava sulla strada, serrata dalle persiane. Era debolmente illuminata da un lume rimasto acceso. Le si trovo’ di fronte una sorta di scrittoio, una sedia per intero riposta sotto di esso e con stupore noto’ un gran numero di calamai, tutti vuoti, disposti ordinatamente in fila. Poco distante, in una scatola di legno, c’erano una gran quantita’ di pennini, di tutte le dimensioni, alcuni sembravano d’oro.
“Deve essere un tipo che scrive molto” – affermo’ dentro di se.
Poi alzo’ lo sguardo sopra la scrivania e si trovo’ appeso alla parete un mobile fatto di scaffali. Il primo, quello piu’ in basso, era completamente vuoto, ma sul bordo del ripiano vi erano stati segnati dei numeri romani, da sinistra verso destra, arrivavano fino a venti. Quelli superiori erano invece pieni di oggetti di ogni tipo e di ogni materiale; pietre, statuette, monete antiche, solo per citarne alcuni. Erano completamente coperti di polvere, come se nessuno li toccasse da anni. Osservo’ di nuovo la stanza e l’unica cosa che noto’, fu una cassapanca di legno posizionata sotto la finestra.
Si lascio’ indietro quell’ambiente e si ritrovo’ nuovamente nel piccolo atrio. Cosi scelse un’altra porta a caso e l’apri’. La stanza era completamente buia. Fece un passo verso l’interno e con la poca luce che proveniva dalla strada e rimbalzava dalle pareti dell’atrio, si accorse di avere accanto a se una lanterna, posata sopra ad un contenitore di legno. C’erano anche dei fiammiferi. L’accese. Stavolta,quello che vide, andava oltre la sua attitudine di sdrammatizzare tutto con ironia.
A tutte le pareti erano fissate delle mensole di legno e sopra di esse c’erano innumerevoli vasetti che contenevano un fiore. Sembravano orchidee, ma erano tutte appassite. Decine e decine di fiori disposti uno di fila all’altro, della cui bellezza era rimasto solamente uno stelo rinsecchito e le foglie annerite, accartocciate su loro stesse. Questa immagine la turbo’ a tal punto che, l’unica cosa che aveva in mente, era di abbandonare velocemente quel posto. Spense il lume, chiuse la porta e si avvio’ velocemente verso la luce l’avrebbe riportata sulla strada del paese. Non fece in tempo. Una sagoma scura apparve all’improvviso a sbarrarle la strada.
“Chi sei?” – pronuncio’ una voce maschile.
Moon raggelo’ e contemporaneamente prese atto che non c’era piu nulla da fare. Senza riuscire a distinguere chiaramente il volto di lui in controluce, si concentro’ sul contorno della sua sagoma e i pensieri stavolta non promettevano nulla di buono. Aveva sognato la voce di quell’uomo, che la chiamava per nome, ma in quella casa lui non c’era. Era entrata senza il permesso di nessuno ed aveva inziato a frugare nelle sue stanze. E come se non fosse abbastanza, per lei ora era impossibile anche allontanarsi da quel posto, perche’ la stessa persona, che conservava centinaia di fiori appassiti in una stanza buia, ne impediva l’uscita. L’uomo resto’ immobile in attesa di una sua risposta e lei sperava senza successo di pescare la carta giusta in un mazzo infinito.
“Signore posso spiegarle tutto.” – stavolta non aveva avuto tempo di organizzare nulla. “Sono passata davanti alla sua porta, l’ho vista aperta e mi e’ sembrato di aver sentito che lei chiamasse il mio nome. Immagino che la donna dai capelli neri, dove mi sono fermata a passare la notte, le abbia parlato di me. E’ vero, l’ho notata ieri sera, mentre vagavo per questo posto, in attesa che qualcuno mi aprisse, quando ho bussato alla porta di fronte, dove c’e’ la scritta ristoro. Ne ho parlato con la donn, perche’ ero semplicemente curiosa, tutto qua. Chiedo scusa di essere entrata in casa sua, ma sono veramente convinta che lei mi avesse chiamato per nome.” – termino’ con queste parole, a suo modo di vedere sincere, tutto il discorso.
L’uomo attraverso la soglia della sua casa e finalmente lei riusci’ a mettere a fuoco il suo volto. Aveva gli occhi blu, un blu cosi’ intenso che non aveva mai visto prima. Lui la guardo’, senza staccare lo sguardo dal suo viso, senza cambiare espressione.
“Voglio sapere cosa ci fa uno straniero dentro casa mia. E voglio una spiegazione.” – l’uomo sentenzio’ freddo. Poi chiuse la porta dietro di se. I due si trovarono per un attimo a pochi passi nell’oscurita’, poi lui con sicurezza spalanco’ le imposte dell’unica finestra che non si trovava in una delle stanze. La luce torno’ a riempire l’atrio e Moon si senti’ sollevata.
“Signore le ho appena detto tutta la verita’!” – replico’ lei sincera.
L’uomo continuava a fissarla, senza che un solo muscolo del viso cambiasse la sua posizione. Poi le passo’ di fronte, schiuse una delle porte che lei non aveva precedentemente aperto e la invito’ ad entrare in quella stanza. Moon, senza possibilita’ di scegliere, lo fece. Era molto piu grande di tutte le altre che aveva visitato, c’era un divano, posato su un tappeto colorato, dove, di fronte, era posto un piccolo tavolo in vetro. Oltre riusciva a riconoscere una cucina, con un tavolo al centro con due sole sedie. L’uomo indico’ il divano. Lei lo accontento’, lasciandosi cadere con la sacca ancora appesa sulle spalle. L’uomo rimase in piedi di fronte a lei. “Chi sei e perche’ sei qui in questo paese quasi disabitato, dove nessuno arriva mai? In casa mia” – ancora una volta con la voce ferma e l’espressione immutata.
Moon era sfinita. “Signore le ripeto ancora una volta, l’ho vista ieri sera dalla finestra mentre osservava un orchidea. Poi sono entrata in casa della donna, la sua dirimpettaia.” – non si trattenne. “Cercavo solo un posto per mangiare qualcosa e riposare per la notte. Poi alla donna ho chiesto di lei. E saro’ ancora piu sincera.” – ignara sul perche’ lo stesse facendo – “La donna mi ha anche avvisato che non mi sarei dovuta interessare a lei. Questa mattina avrei dovuto proseguire il mio cammino, senza voltarmi mai. Ecco, non l’ho fatto!”. – stavolta era certa di aver detto tutto.
L’uomo, sempre senza mutare la sua espressione, le si sedette accanto. Fissando il tavolo in vetro, replico’ ancora una volta: “Dove sei diretta?”.
Questa domanda lascio Moon colta alla sprovvista, ma la situazione non le permetteva di commettere nessun errore. “Non ho una meta.” – disse onestamente. E aggiunse “Non so perche’ sto facendo questo viaggio. Forse mi sono persa, forse sto cercando qualcosa.” – l’uomo si volto’ e lei lo fisso’ dritta nei suoi occhi blu.
“Ancora non capisco perche’ tu mi stia mentendo.” – disse lui con voce piatta e senza espressivita’. – “Continua pure a cercare, ma il mare non lo troverai nelle case degli altri.” – poi giro’ nuovamente il volto di fronte a lui e si sollevo’ in piedi volgendole le spalle.
“Il mare?” – inizio’ a interrogarsi dentro di se. “Il mare non c’e’ in questa terra, non l’ho mai visto e sono convinta che mai potro’ vederlo.” – sempre piu confusa – “E perche’ non mi crede? Andiamo dalla donna dai capelli neri e parliamone insieme!” – provava frustrazione e sgomento nello stesso istante.
L’uomo fece un gesto ad indicare con la mano l’atrio, segno che la stava lasciando andare. Moon si alzo’, supero’ l’uomo e si diresse verso la porta senza proferire una sola parola. Accenno’ un saluto e proprio mentre stava per uscire definitivamente da quella situazione irreale, udi’ ancora una volta la sua voce.
“Solo un attimo.” – disse l’uomo dagli occhi blu, prima che Moon uscisse per sempre da quella casa.
“Dovrebbe essermi rimasta una mappa di questa regione. Potrebbe esserti utile ad orientarti anche se non conosci la tua destinazione” – con la consueta voce senza tono.
Lei desiderava solo andarsene, ma ancora una volta qualcosa la trattenne. Fece una leggera rotazione con il corpo e rimase in attesa sulla soglia.
L’uomo afferro’ la maniglia di quella porta, che lei aveva aperto poco prima ed entro’ nella stanza dello scrittoio. Moon fece caso che l’ambiente era tornato al buio, ma tutto cio’ che aveva vissuto quella mattina le lascio’ ipotizzare, verosimilmente, che in quella stanza non c’era mai entrata, magari aveva rappresentato con la mente anche quello. L’uomo scomparve per un istante nell’oscurita’, poi una luce fioca ne disegno’ nuovamente la sagoma. Lo vide dirigersi verso la finestra serrata. Un attimo dopo il chiarore del giorno riempi’ l’ambiente e tutti gli oggetti vennero avvolti dalla luce brillante del sole. Incerta se fosse il caso di farlo, si addentro’ nella stanza e con enorme sollievo vide lo scrittoio, i calamai in fila, lo scaffale vuoto e tutti gli oggetti coperti di polvere.
“Questo non me lo sono inventata!” – si lascio andare in tono liberatorio.
Lo osservo’ aprire la cassapanca di legno, flettere le ginocchia, portarsi sopra di essa e con le mani iniziare a rovistarne l’interno.
“Aveva proprio ragione la donna dai capelli neri. Quest’uomo non traspare un emozione” – sussurrando nuovamente a se stessa. Lo sguardo le era rimasto incollato sulla fila di calamai in vetro, vuoti, ma perfettamente puliti. Appena oltre, la scatola colma di pennini.
“Immagino che lei scriva molto!” – si penti’ immediatamente di averlo appena affermato ad alta voce. Ogni volta che si era trovata ad un passo dalla fine, di quella che riteneva tutta una storia senza logica, una forza invisibile la spingeva a non dominarsi. L’ambizione di capirne qualcosa in piu’, sempre che ci fosse stato qualcosa da comprendere, la portava ad indugiare, ad essere ancora li. Di questo non se ne faceva una ragione. L’uomo non rispose, ma si sarebbe sicuramente meravigliata del contrario.
Lui finalmente torno’ in piedi. Sembrava tenere qualcosa fra le mani, si porto’ verso lo scrittoio e vi lascio’ cadere sopra una bustina di pelle marrone, di forma rettangolare, chiusa all’estremita’ piu lunga da uno spago.
“Non ne sono piu capace” – disse l’uomo, mentre era intento ad aprire il sottile cassetto che scorreva sotto il piano dello scrittoio.
Ancora una volta, Moon fu invasa da un flusso di pensieri.
“Non e’ piu’ in grado di scrivere? A dire il vero in questa casa non si e’ visto un libro e neppure un foglio di carta!” – mormoro’ a se stessa, come aveva fatto ogni volta che sentiva il bisogno di una valida risposta. Stavolta non si lascio’ sfuggire nulla di piu. Era veramente giunto il momento di lasciare quei luoghi che, per la prima volta, da quando aveva iniziato il suo viaggio, la stavano trattenendo, infrangendo l’unica regola che si era imposta prima di partire: non interrompere mai quel cammino, a qualsiasi costo!
Sarebbe rimasta in attesa ancora un attimo, poi si sarebbe rivolta all’uomo dicendogli che, anche senza la mappa che voleva gentilmente donarle, poteva proseguire, evidenziando ancora il concetto che gia’ gli aveva illustrato: chi non ha una meta, non ha poi cosi bisogno di sapere dove si trova.
Quella parentesi stava per chiudersi li. Alzo’ per l’ultima volta gli occhi verso gli scaffali colmi di cose, di cui non aveva la minima idea cosa rappresentassero, quasi a conservare il loro ricordo per poi trascriverne qualche parola sul diario, quando la sua attenzione fu catturata da un oggetto che sembrava celato dietro ad altre cianfrusaglie. Nuovamente , in un gesto meccanico, sollevo’ le braccia e con le mani fece breccia per osservarlo meglio. Era una enorme clessidra, non le era mai capitato di vederne una cosi grande. Un telaio finemente intarsiato, di legno scuro, proteggeva le due enormi ampolle in vetro collegate da un filo quasi invisibile. La sabbia, di colore viola, che appariva impalpabile, si era depositata per gravita’ nel recipiente inferiore. Moon impresse sul suo volto un sorriso. “Con una clessidra cosi hai tempo di fare tutte le cose che vuoi” – disse fra se allegramente. Poi l’afferro’ con le dita, la sollevo’ delicatamente dallo scaffale e la ripose capovolta. I granelli di polvere iniziarono lentamente ad attraversare il sottilissimo corridoio in vetro prima di rimbalzare, dopo un piccolo salto nel vuoto, nel contenitore opposto. Due universi separati, ora connessi fra di loro, avevano iniziato a comunicare. Mollo’ la presa dall’oggetto, lasciando stampate le impronte dei polpastrelli sulla polvere di cui era ricoperto e decise che era giunto il momento di andare. Fece mezzo passo indietro, si volto’ verso l’uomo del quale per un attimo si era dimenticata e mentre era intenta a comunicargli le proprie intenzioni, vide in lui qualcosa di diverso.
Era immobile e fissava il ripiano vuoto dello scaffale, dove forse lui stesso aveva inciso quei numeri. Il suo volto sembrava mutato. Quando, fino a poco tempo prima, ogni muscolo del suo viso appariva eternamente congelato, nella stessa forma, ora aveva assunto un’espressione che sembrava addolorata. Moon colse il cambiamento. L’allegria e la sicurezza che pochi attimi prima l’avevano pervasa, scomparvero improvvisamente. Si percepi’ distante da tutto, un senso di vuoto l’avvolse e nella sua testa risuono’ la sua stessa voce:
“Devi trovare te stessa. Fallo oggi, inizia il tuo viaggio” - era quello che si era detta quando decise di lasciare tutto e partire, senza meta, con la sacca riepita di pochi oggetti ed il cuore pieno di speranza.
In un attimo, ancora una volta, era cambiato tutto. L’uomo senza sentimenti le stava trasmettendo qualcosa che non riusciva a riconoscere. Ancora la voce della donna dai capelli neri:
“Non puoi fare nulla per lui, come lui non potra’ fare nulla per te. Non voltarti mai.” – di nuovo era tornata.
L’uomo abbandono’ la vista del ripiano vuoto, fisso’ Moon negli occhi e le domando’:
“Come ti chiami?” – la voce sembrava non essere la sua.
Moon vide ancora una volta quegli occhi blu, ma erano diversi. Nel riflesso della luce che proveniva dal mondo esterno, avevano assunto delle sfumature grigiastre. Non aveva mai visto il mare ma, in quel preciso istante, immagino’ cosi essere le onde spumeggianti, di cui aveva solo sentito parlare.
“Mi chiamo Moon.” – rispose disorientata e con un filo di voce.
Gli occhi dell’uomo, senza mai separarsi dai suoi, iniziarono a bagnarsi di lacrime.
“Ti ho trovata” – rispose , con il volto triste ma la voce radiosa.
Poi le prese la mano, incastono’ le sue dita fra quelle di lei, e la trascino’ nuovamente nella stanza del divano.
Moon si lascio’ trasportare senza opporre resistenza. Era diventato tutto cosi’ caotico che non avrebbe mai trovato la forza per parlarsi e trovare sicurezza con la solita risposta di cui aveva bisogno. Senti’ il calore della mano di lui aggrovigliata alla sua. Lo segui’, fluttuando nel percorso che separava le due stanze.
Si trovarono seduti ancora una volta, fianco a fianco. L’uomo, sempre saldo alla sua mano, chiese ancora:
“Chi e’ la donna con i capelli neri?”
Moon era stordita, sentiva la tristezza fluire dal corpo che aveva di fronte tramite quella connessione che lui aveva creato. Non sapeva veramente chi fosse quella donna.
“Non le ho mai chiesto il nome e non so nulla di lei. Ma se mi dici di non conoscerla…” – aveva cambiato il registro, ora si rivolgeva a lui come se lo avesse sempre conosciuto – “…probabilmente e’ stata lei. E’ lei che ti ha fatto l’incantesimo ed e’ per questo che mi ha detto di starti lontano. Forse si e’ innamorata di te oppure e’ stata l’invidia e per qualche motivo ha voluto ingabbiare i tuoi sentimenti per punirti. Magari aveva paura che io potessi liberarti, non lo so. Mi ha solo detto domani vattene e non voltarti mai.” – Moon gli disse tutto quello che sentiva in quel momento, con un’ intensita’ che non aveva mai sperimentato.
“Non c’e’ nessuna donna che abita la casa di fronte.” – rispose lui sgomento, avvertendo il battito del suo cuore accelerare.
“E’ disabitata da anni e da quando sono qua ,nessuno e’ mai vissuto li dentro. L’unica cosa che ci si ricorda e’ che, in un lontano passato, fu la bottega di un orologiaio. Trascorse la sua vita a costruire orologi che segnavano il tempo, quando nessuno aveva il reale bisogno di tenerne il conto. Per rispetto, alcun abitante si e’ mai sentito di appropriarsene, cosi e’ rimasta chiusa fino ai giorni nostri”
Moon era allibita. Aveva passato la notte in quella casa, dormito li, parlato con la donna, camminato su quel pavimento e dormito nel letto della camera. Stanca di doversi giustificare per cose incomprensibili ancora una volta, schizzo’ in piedi e trascino’ l’uomo sulla strada, fino alla porta della casa di fronte. Osservo’ il portone e non vide piu l’insegna in legno chiaro, “Ristoro”.
“Forse l’ha tolta, forse voi vi conoscete e vi state prendendo gioco di me.” – disse all’uomo che era stato costretto a seguirla fino li.
Moon gli lascio’ la mano e inizio’ a bussare alla porta. Poi inizio’ a chiamare ad alta voce la donna.
L’uomo osservo’ tutta la scena, era sicuro che quella ragazza dai capelli scuri, raccolti in una coda, che diceva di chiamarsi Moon, era sincera. La scosto’ leggermente dalla traiettoria con la mano, prese una breve rincorsa e con una spallata spalanco’ la vecchia e fragile porta di legno. Una nube di polvere si dissolse lungo la strada. Moon senza esitare entro’ nell’appartamento ma quello che le si presento’ di fronte la lascio’ sempre piu sconfortata. All’interno non c’era nulla, un ambiente senza mura completamente vuoto. L’aria che si respirava era pesante di umidita’. Di fronte a lei lo scheletro di una vecchia scala di legno, che portava al piano superiore, i cui gradini erano stati distrutti dal tempo. Le pareti erano vuote, restavano solo delle macchie di una tonalita’ piu chiara, come se ci fosse rimasto appeso qualcosa per molto tempo. Non c’erano i quadri, non c’erano le lanterne e non avrebbe potuto esserci la donna con i capelli neri. Moon sprofondo’ nel silenzio piu’ assoluto. L’uomo la prese nuovamente per mano, la tiro’ indietro e riaccosto’ la porta come meglio poteva fare. Si dirissero nuovamente verso l’abitazione dell’uomo, attarversando, in senso opposto a quello appena percorso la soglia, quando all’improvviso una porta delle quattro presenti si spalanco’ e una folata di vento accarezzo’ i loro volti.
“La stanza dei fiori secchi” – grido’ Moon, tradendo di averla gia’ visitata.
L’uomo, che nel frattempo le aveva avvolto le spalle con le sue braccia in un gesto protettivo, la guardo’ ancora una volta in viso. Non disse nulla e i due proseguirono verso la stanza. Fecero un passo oltre la soglia, lui diede la fiamma alla lanterna posata sul contenitore di legno e la luce si proietto’ in uno scenario che nessuno sarebbe riuscito ad immaginare. Ruotando lo sguardo intorno, videro che di tutti i fiori appassiti era rimasto solamente lo stelo rinsecchito. Le foglie sembravano scomparse. L’uomo strinse a se in un gesto involontario Moon. Lei non sarebbe stata in grado di trovare alcuna parola da poter pronunciare. Rimasero immobili. Moon non aveva la mimima idea di cosa significassero quei fiori appassiti, conservati con cura, ma nel medesimo istante senti’ un sentimento di infelicita’ immedesimandosi in lui. Poi noto’ qualcosa sul pavimento, che non aveva visto la volta precedente.
“C’e qualcosa in terra!” – inidico all’uomo con il suo minuto indice.
Lui sciolse la sua presa, afferro’ la lanterna e si porto’ al centro della stanza. Sul pavimento, vide quella che sembrava essere una mappa, disegnata su una carta di colore scuro, con delle sfumature di grigio di varie tonalita’. Moon, che si era rassegnata a vivere quella giornata in tutto il suo immaginario, azzardo’ all’uomo:
“Le foglie. L’hanno composta le foglie secche dei fiori. Non sono piu’ attaccate agli steli ma hanno formato quel foglio!” – pronuncio’ questa frase, senza nemmeno rendersi conto di quanto assurdo fosse quello che stava giustificando.
L’uomo raccolse il foglio dal pavimento, lo osservo’ e replico’ a lei:
“E’ dove nascono i fiori.” – forse parlando con se stesso.
Nel foglio sembrava essere rappresentato un sentiero, che andava dal paese fino alla riva di un lago. Ad un certo punto del percorso, una crocetta segnava un punto preciso. Lui sembrava conoscerlo.
“Non posso capirti.” – rispose lei in segno di resa.
“Questo e’ il luogo dove nascono le orchidee che io, metodicamente, raccolgo, metto in un vaso, e conservo finche’ la loro vita giunge al termine. Non so perche’ lo faccio, ma sento di doverlo fare.” – l’uomo era sincero. Moon estranea a tutto questo.
“Perche’ qualcuno o qualcosa dovrebbe indicarmi lo stesso posto dove mi reco spontaneamente?” – si domando’ l’uomo.
“Forse perche’ ti sfugge qualcosa” – disse Moon sempre piu’ incredula, anche di se stessa.
“Portami li“ – ordino’ a lui.
Si affacciarono sulla strada del paese, l’uomo guardo’ il cielo e vide che sarebbe rimasto poco tempo prima che il sole lasciasse il posto alla notte. Si incammino’ verso il sentiero, voltandosi verso Moon:
“Seguimi”.
I due avanzarono fino ad abbandonare il paese, poi attraversarono un piccolo bosco fatto di alberi ad alto fusto, fino ad imboccare un sentiero in pianura che li condusse alla riva di un lago.
“E’ questo il punto.” – disse lui a voce alta, osservando all’orizzonte l’acqua piatta del lago.
“Che cosa accade qui?” – domando’ lei.
“E’ dove nascono le orchidee. Quando un fiore appassisce, so che qui ne nascera’ a breve un altro. Io percorrero’ il sentiero che abbiamo fatto insieme, portero’ il fiore a casa e quando morira’, ripetero’ lo stesso gesto.” – confesso’ l’uomo senza timore.
“Perche’ fai questo? – chiese Moon.
“Non lo so.” – rispose lui sincero.
Moon scruto’ con attenzione il luogo, poco distante un invisibile confine separava l’acqua ferma dalla terra.
“Li nascono i fiori, la mappa segna quel punto” – disse dentro di se.
Guardo’ l’uomo dagli occhi blu, pieni di un mare che non aveva mai visto e gli disse:
“Hai mai cercato nella profondita?” – domando lei.
L’uomo rimase pietrificato. Perche’ mai avrebbe dovuto distruggere il luogo dove nascevano fiori belli e affascinanti?
“Non l’ho mai fatto.” – rispose.
Senza dirsi altro, Moon gli fece un cenno e unendo le mani ed iniziarono a rimuovere la terra nello stesso punto dove l’uomo, per anni, aveva colto i fiori.
All’improvviso lo scavo, che fino a quel momento era proseguito senza resistenza, incontro’ una superficie dura e liscia.
“C’e’ qualcosa” – disse lui, incredulo, guardando Moon.
Lei non rispose, scavo’ tutto intorno a quello che riusciva a percepire con le mani e, sotto i loro occh,i si presento’ uno scrigno.
Lui guardo Moon esterefatto. Lei rispose eccitata:
“Portiamolo alla luce”.
Estrassero il piccolo baule seppellito nella terra e rimasero immobilli di fronte ad esso, con le mani stanche ed intrise di fango.
“Aprilo.” – chiese l’uomo a Moon.
Non sapeva se fosse giusto farlo, ma non se la senti’ di obiettare.
Sollevo’ il coperchio. Lui non sarebbe riuscito a vederne il contenuto dalla sua posizione e rimase fissa ad osservare.
“Cosa c’e’ dentro” – le chiese impaziente.
“Libri” – rispose lei.
Gli occhi dell’uomo si riempirono nuovamente di lacrime.
“Quello che mi era stato rubato”.
Nel baule seppellito nel fango, erano contenuti venti libri, appoggiati uno accanto all’altro. In un anfratto Moon vide un rotolo di pergamena, chiuso con un sigillo di cera. Non disse nulla di questo, anche perche’ l’uomo aveva distratto il suo sguardo fissando l’orizzonte che separava il lago dal cielo, che man mano stava diventando rossastro.
Lo prese in mano, strappo’ il sigillo e lo lesse a se stessa:
“Per una vita si e’ preoccupato di scrivere storie che aiutassero gli altri a sopportare il dolore, l’assenza, il rifiuto. Non si e’ mai preoccupato del suo dolore, delle sue assenze e dei suoi rifiuti. Ha scritto per gli altri dimenticandosi di se. Ho rubato tutti i suoi libri, seppellendoli sulle rive di questo lago, nella speranza che nascondendoli al suo ricordo, germogliasse in lui un sentimento di vendetta, di rivincita, di orgoglio. La sua vita erano i suoi racconti, messi in fila ordinatamente dal primo fino all’ultimo, chiuso in quella stanza e circondato da calamai di inchiostro nero. Non sapro’ mai se sono riuscita nel mio intento, ma in cuor mio ho fatto questo gesto estremo per liberarlo da se stesso. Ogni volta’ che si rechera’ qui per cogliere un fiore, potra scegliere di scavare e ritrovare cio’ che aveva perduto, in quel momento ritrovera’ il proprio significato. ”
Moon rabbrividi’ di fronte a quelle parole, senza neppure domandarsi da chi fossero state scritte. L’incantesimo non esisteva, la donna dai capelli neri, anche se sembra non essere mai esistita, le aveva mentito e l’uomo che aveva accanto, a poca distanza da lei, che fissava l’orizzonte, non aveava subito nessun incantesimo, era solo prigioniero di se stesso.
Sfilo’ un libro a caso dalla fila, apri’ la prima pagina e lesse:
“ A moon, che mi ha dato l’ispirazione”
Lo richiuse immediatamente, lo ripose nello spazio lasciato vuoto e ne afferro’ un altro preso a caso.
Apri la copertina, e nella prima pagina vide ancora: “A moon”.
Non ebbe il coraggio di ripetere l’operazione con quelli restanti. Rimase sconvolta. Un uomo sconosciuto, incontrato in un paese senza nome, aveva scritto per anni libri dedicandoli forse a lei, senza averla mai vista prima e qualcuno di ancora piu’ ignoto li aveva seppelliti lungo le rive di un lago, affinche’ lui smettesse di scrivere parole per le vite degli altri ed iniziasse ad ascoltare la voce che veniva da dentro di se.
Chiuse il baule, fece sparire la pergamena e disse all’uomo:
“Ora hai quello che cercavi, sta facendo buio, torniamo a casa”
L’uomo guardo Moon, senza dire nulla, si incammino verso le acque del lago, si immerse fino alle ginocchia efece come per cercare qualcosa. Immergeva la mano sotto l’acqua, la ritraeva verso di se, poi ripeteva il movimento.
Fece questo fino a quando sembro’ soddisfatto, torno’ verso Moon, posiziono’ la migliore pietra che fu in grado di trovare, di forma piatta, di fronte a lui e ci poso’ sopra quello che aveva pescato nel lago. Poi con l’altra mano prese un sasso, ed inizio’ a colpire l’oggeto che aveva estratto.
Finita l’opera, si guardo’ intorno, strappo’ dei fili di erba secca dal terreno, li annodo’ intorno al manufatto che aveva di li a poco scolpito e lo porse verso Moon.
Una pietra bianca che andava a formare uno spicchio di luna. Lo cinse al collo di lei e le disse:
“Ti proteggera’ lungo il tuo cammino.” – chiuse gli occhi per un istante.
Il sole stava per tramontare. Insieme trasportarono il piccolo scrigno nel percorso a ritroso fino alla casa dell’uomo. Una volta nella stanza dello scrittoio, lui prelevo’ i libri, uno ad uno e li riposiziono’ ordinatamente sullo scaffale che era rimasto vuoto. Moon capii il significato di quei numeri.
I due erano molto stanchi e l’uomo invito’ Moon a fermarsi da lui per la notte. Non avrebbe potuto rifiutare in ogni caso.
Sdraiati sul letto, lui inzio’ a parlare:
“Ho sempre scritto libri, immaginando storie che sarebbero state necessarie per le vite degli altri” – confido’ nel silenzio della stanza. “Quando mi sono stati tolti, ho smesso di esitere”.
Moon ascoltava, ma qualcosa non le tornava. Stava vivendo lo stesso tormento dell’uomo che aveva accanto e non se ne sarebbe andata da li senza essere riuscita a dare un senso a tutta quella storia.
“Hai detto che nella casa di fronte visse un uomo che costruiva orologi?” – domando’ lei, senza per il momento seguire il suo discorso.
“Si” – rispose lui confuso.
Moon si alzo’ di scatto in piedi facendolo sobbalzare.Afferro’ il lume e si diresse verso la stanza dei libri. Lo avvicino agli scaffali e illumino’ nuovamente la clessidra. La polvere era scesa per meta’ nel contenitore vuoto.
“La clessidra!” - sentenzio’ lei a voce alta. “Tutto ha avuto inizio quando ho capovolto la clessidra. Lui e’ cambiato in quel momento.” - Moon concretizzo’ che era stata lei a dare il via ad un conto alla rovescia, di cui nessuno conosceva il destino. Torno’ dall’uomo , he nel frattempo era rimasto solo, al buio, si sedette nuovamente sul letto e lo fisso’ in volto:
“Prima ho aperto alcuni dei tuoi libri, in ognuno di essi c’era una dedica: ‘a Moon’. Chi e’ Moon?” - gli chiese con la preoccupazione che la sua risposta avrebbe intricato ancor di piu’ i suoi pensieri.
L’uomo posiziono’ seduto, con il busto rivolto verso di lei. Poso’ lo sguardo sulle sue mani e le rispose:
“Tanti anni fa, mentre ero intento a fare la mia solita passeggiata lungo le rive del lago, trovai in terra quello che sembrava essere un ritratto. Era un piccolo foglio da disegno, dove l’illustratore aveva impresso, con una matita nera, la sagoma di una ragazza dai capelli lunghi, era di spalle, intenta a contemplare la luna che riempiva il cielo. La trovai nello stesso posto dove nascevano le orchidee e sembrava essere stata ritratta proprio in quel punto. Girai il foglio e trovai impressa una parola: ‘Moon’. Tornai a casa, posai il ritratto sullo scrittoio e da quel giorno cominciai a sentire il bisogno di scrivere. Iniziarono a fiorire in me delle emozioni che non avevo mai provato, ne facevo un storia e la donavo a chi reputavo ne avesse necessita’, come un erborista mischia erbe col desiderio di sopire un dolore. Immaginai che quella ragazza si chiamasse cosi’ e grazie all’ispirazione che mi aveva dato, le dedicai tutti i libri” - rispose tutto d’un fiato, tornando indietro nei ricordi del passato.
Moon aveva ascoltato tutto e aveva ragione. La risposta dell’uomo allontanava la soluzione di quell’enigma. Chi era quella ragazza? Sicuramente quello nn era il suo nome, si faceva solo riferimento all’astro nel cielo. Poi torno’ con il ricordo alla casa della donna dai capelli neri. Si soffermo’ un istante, vagando nel vuoto e all’improvviso si volto’ per frugare dentro la sacca, che nel frattempo era stata dimenticata accanto al giaciglio dove si trovavano i due e tiro’ fuori la pergamena che aveva trafugato dallo scrigno. La svolse e, come innumerevoli volte era gia accaduto in quei giorni, ebbe un sussulto. Era la stessa grafia impeccabile con la quale la donna le aveva lasciato quell’ultimo messaggio, sul tavolo della colazione.
“E’ stata la donna a tentare di salvarlo?” - si interrogo’, perdendo ogni la speranza di ottenere una risposta concreta.
Si trovo’ nuovamente seduta al tavolo, in attesa della cena, la luce calda delle lanterne vibrava sulle pareti mentre Moon scrutava le tele sparse qua e la, chiedendosi quale mano avesse dipinto quelle orchidee. Poi all’improvviso un boato. Una nube di polvere riempi’ la strada e fu costretta a chiudere gli occhi. La porta della casa dell’orologiaio, con uno scricchiolio sinistro’, si spalanco’. Giusto il tempo di mettere a fuoco e vide lo ombre lasciate sul muro da qualcosa che era rimasto appeso li, molto a lungo. Apri’ gli occhi, poso le mani sulle lenzuola che ricoprivano il materasso, vide l’ombra dell’uomo nuovamente disteso sul letto.
“La clessidra!” - esclamo’ ad alta voce, ridestando l’attenzione dell’uomo.
Lui si volto’ all’istante verso di lei, fisso’ attonito il chiaroscuro che la luce del lume disegnava sul suo volto e le domando’ esistante:
“Di cosa stai parlando?”
Moon aveva iniziato ad unire i punti di tutta quella storia. Era sicura di aver trovato un filo che, per quanto fragile, era in grado di congiungere ogni singolo evento che aveva vissuto, ogni parola che l’uomo le aveva raccontato. Non era mai stata cosi’ sicura di se, scelse la strada piu’ impervia.
“Tutto e’ cambiato quando ho rovesciato la clessidra, nella stanza dello scrittoio.” - guardando l’uomo dritto in volto - “inconsapevolmente, ho dato il via allo scorrere di un tempo, al cui scadere non so cosa accadra’. Le ombre sui muri della casa dell’orologiaio, erano le sue creazioni, gli orologi di cui nessuno aveva bisogno. Ci ho visto le orchidee dipinte su tela, ma non erano opere d’arte, era il tempo. Hai trascorso la tua vita a cogliere i fiori che nascevano in quel preciso punto in riva al lago, a prendertene cura e poi, ormai appassiti, ricoverarli nella stanza buia delle mensole. Davanti a te, decine di piante morte, ricordavano ogni intervallo che si stava consumando e tu, ti limitavi a contemplarlo. Sotto le radici, che ogni fiore disperdeva nel terreno, c’era la tua vita, quello che ti era stato rubato e nascosto. Non hai avuto il coraggio di estirparle e di scavarci sotto. La donna dai capelli neri ha provato a salvarti, ha preso cio’ che ti ingabbiava e l’ha sepolto nello stesso punto dove saresti andato ogni volta. Non hai avuto il coraggio di valicare quel confine che ti faceva sentire sicuro e al contrario prigioniero.” - Moon si era lasciata andare con la sicurezza che tutto stesse tornando al suo significato originario - “La donna non voleva che io mi inoltrassi dentro di te, ne prestassi attenzione a quella voce che avrebbe fatto il mio nome. Perche’ ora che sento il tuo lamento, vorrei mostrarti un sentiero ben illuminato per guidarti fuori dall’oscurita’ che ti pervade, ma non conosco ancora la mia strada, svanirei anche io nel buio e il mio cammino si arresterebbe per sempre. L’ha fatto per me.” - gli occhi di Moon si bagnarono di lacrime.
L’uomo, sconcertato, si alzo’ seduto sul letto, fisso’ ancora una volta i suoi occhi e vide sopra di essi il cerchio della luna, che si era alzata in cielo, riflesso nelle pupille nere incastonate dentro quegli occhi nocciola. Afferro’ entrambe le sue mani, le strinse con forza, poi se le porto’ al volto.
La ragazza del ritratto, trovato per caso in riva al lago, ispirazione di tutti i suoi racconti, si trovava in casa sua, di fronte a lui, seduta sul suo letto. Le sue mani leggere gli avvolgevano il viso e senti’ in un istante dentro di se tutte le emozioni che era stato capace di trasmettere agli altri, tramite i suoi libri, che non aveva mai provato in prima persona. Moon aveva aperto la porta della stanza segreta che si trovava dentro di lui, ma non avrebbero esplorato i suoi meandri insieme. Una clessidra, posata su un ripiano di un mobile della stanza vicina, stava per ultimare il suo carico di granelli di attimi, prima di tornare nella quiete.
Avrebbe voluto chiedere a Moon di restare, li, con lui, in quella terra, per sempre, ma preferi’ immaginare il mare. Moon avrebbe dovuto scoprire il mare, immenso e azzurro, dove si sarebbe potuta fondere con le onde, respirare il sapore del sale e sentirsi finalmente libera.
I due, stanchi della giornata appena trascorsa, smisero di parlare. Si erano detti abbastanza, quello che restava, l’avrebbero lasciato alla scelta casuale dei loro sogni.
Si addormentarono.
Il giorno successivo arrivo’ presto. Moon si levo’ dal letto per prima. Vide l’uomo che ancora dormiva. Si rivesti’ velocemente e cercando di non fare troppo rumore, si assesto’ per lasciare per sempre quel paese sconosciuto, con tanta tristezza nel cuore.
L’uomo la segui’ a breve. Anche lui si desto’ dal sonno, si alzo’ in piedi, percorse il perimetro del letto e si avvicino a Moon.
“Devi andare” - disse con voce malinconica.
“Si” - fu l’unica e l’ultima parola che pronucio’ lei.
Lui le fece strada verso la porta, la apri’ con cortesia, poi la sua voce sembro’ chiedere l’ultima attenzione.
“Aspetta, la mappa.” - disse.
Apri’ nuovamente la stanza dello scrittoio, raccolse il sacchetto di pelle depositato il giorno prima sul tavolo e lo lascio’ cadere nelle mani di Moon.
Si guardarono per l’ultima volta negli occhi. Lui rimase immobile sulla soglia. Moon riprese il suo viaggio.
Ripercorse a ritroso la strada che l’aveva portata al paese sconosciuto, poi si impegno’ in un nuovo sentiero. Sentiva la mancanza di tutto, dell’uomo, della donna, di ogni cosa aveva immaginato e di ogni attimo vissuto li, che fosse stato reale o immaginario.
“Non fermarti mai” - si ripete’.
Continuo’ a camminare, allontanandosi ad ogni passo, sempre di piu’ da quel luogo.
Nuovamente, le risuono’ nella testa la voce della donna: “Non voltarti mai”.
Nuovamente, non segui’ il suo consiglio. Moon si fermo’ al centro della via, attese qualche attimo e guardo’ dietro di se.
Una colonna di fumo bianco si innalzava verso il cielo azzurro, proprio nella stessa direzione da cui era partita, lasciando l’uomo dagli occhi blu dietro di se . L’ennesimo sentimento di turbamento l’avvolse. Il tempo della clessidra era ormai stato segnato. Il suo diario si era riempito di parole e nelle sue profondita ascoltava il fragore delle onde di un oceano che non aveva mai visto . Alzo’ i palmi delle mani verso i suoi occhi, li osservo’ accuratamente. Non stringevano nulla, non percepiva alcun calore.
“Perdonami se non sono potuta restare. Io non ti dimentichero’, tu non potrai piu’ farlo”.
Si volto’, riprese ad avanzare verso la sua destinazione ignota.
Dopo ore di cammino, per la prima volta da quando il viaggio aveva avuto inizio, il sentiero le offriva due direzioni.
“La mappa!” - fu certa che quello sarebbe stato il momento giusto per utilizzarla.
Stacco’ le bretelle del fagotto dalle spalle e porto’ la sacca di fronte a se. Frugo’ ancora una volta al suo interno ed estrasse la bustina di pelle marrone che l’uomo le aveva lasciato cadere fra le dita. Strappo’ lo spago che la sigillava, distese il foglio davanti a se e concentro’ li la sua attenzione.
“Potra’ aiutarti nel tuo percorso” - rievocando le parole dell’uomo.
Ma nel disegno, il bivio non c’era. Il foglio indicava una sola strada.
“Non ascoltare quella voce.” - fantastico’ la donna dai capelli neri essere li, accanto a lei, invisibile.
Forte del coraggio che aveva accumulato nei giorni precedenti, prosegui’ per quello incognito.
“Perdonami” - disse rivolgendosi immaginariamente all’uomo senza nome. Getto’ la mappa dietro di se.
Prosegui’ avanti, ad ogni passo il sentiero prendeva una forma piu’ dolce e all’orizzonte non riusciva piu’ a scorgere la sagoma delle montagne e delle colline che l’avevano accompagnata fino allora. Provo’ una sensazione che fino a quel momento le era stata estranea. Sebbene non avesse mai sentito il bisogno di orientarsi, il paesaggio aveva assunto una forma che non le era piu’ familiare e fra la lista di emozioni che aveva accatastato dentro di se, aggiunse l’incertezza.
Avanzando, vide il terreno davanti a se scendere lentamente. Poi, all’improvviso, spalanco’ gli occhi e i suoi movimenti rimasero congelati in quel fotogramma. Una distesa blu, pennellata da increspature bianche, si divideva la linea del tramonto con un cielo azzurro, sparso qua e la di nuvole bianche. Un fremito l’avvolse.
“Il mare!” - disse ad alta voce, riuscendo a muovere gli unici muscoli che in quel momento era in grado di controllare. Moon, nel sua spedizione alla ricerca di se stessa, aveva scoperto quello che fino a quel momento era stata solo in grado di sognare. L’oceano, immenso, si trovava davanti a lei. Riprese il controllo del suo corpo e, accelerando il passo, cammino’ fino alla spiaggia. I piedi le affondavano nella sabbia e con fragore l’acqua si rovesciava su se stessa trasformandosi in schiuma bianca. Fece un respiro profondo e il sapore, leggermente amaro del sale, le rempi’ i polmoni. Rimase inerte ad osservare quel movimento incessante, ipnotizzata dal suono ritmico delle onde che nascevano e morivano simultaneamente, svanendo su loro stesse. Vide un grosso tronco di legno, adagiato sulla spiaggia, la cui superficie era stata completamente levigata dall’acqua. Si sedette, tolse la sacca dalle spalle posandola sulla sabbia, fra le gambe, si accarezzo il volto, leggermente inumidito dalla salsedine con le mani e tiro’ fuori dal fagotto il diario e la penna di piuma. Inizio’ a scrivere.
Moon, mentre scrutava quell’immenso spettacolo, avverti dentro di se un movimento. Il piccolo spazio, che immaginava confinare tutta la sua vita si stava espandendo, come l’universo che, incomprensibilmente, si protende verso l’infinito. L’oceano blu e la schiuma bianca delle onde. Erano gli occhi dell’uomo che sembrava conoscesse il suo destino.
“Nella mappa, il sentiero verso il mare, non esisteva. Perche’ voleva che arrivassi fino qui, indicandomi la direzione sbagliata?” - si domando’, come aveva sempre fatto, quando sentiva il bisogno di una risposta. Ogni volta che credeva di avere in mano la tessera giusta del puzzle, questa per qualche motivo non si incastrava.
Di colpo era di nuovo nella stanza dell’uomo, seduta sul suo letto, lui di fronte, il lume che rischiarava il buio, la luna che si era alzata in cielo, oltre il vetro della finestra.
“Non hai avuto il coraggio di valicare quel confine che ti faceva sentire sicuro e al contrario prigioniero.” - si stava rivolgendo a lui.
All’improvviso il frastuono di un onda, piu grande delle altre, la ritrascino’ sulla spiaggia. Il cuore inizio’ ad accelerare il battito, lo stomaco si serro’ su se stesso e gli occhi di Moon iniziarono a brillare, invasi dalle lacrime.
“Il bivio lui lo conosceva! Voleva che scavassi, che trovassi il coraggio di abbandonare la via che mi faceva sentire sicura” - la conclusione a cui giunse la riempi’ di malinconia. Porto’ una mano verso il collo e delicatamente strinse la pietra che lui le aveva scolpito, quella sera, in riva al lago. Chiuse gli occhi, si chino’ verso la sabbia sotto di lei, e rimase ad ascoltare il suono dell’oceano.
Non si rese conto quanto tempo aveva trascorso li, accarezzata dal vento, con la compagnia delle onde. Decise che era giunto il momento di andare, che la sua nuova vita avrebbe avuto inizio dalle impronte stampate sulla sabbia umida.
Senti un leggero prurito dietro la schiena, porto’ un braccio all’indietro per affievolirlo, quando con la mano percepi’ qualcosa nella tasca posteriore dei pantaloni. Con le dita la estrasse. Era l’enorme foglio bianco, piegato su se stesso, che la donna con i capelli neri le aveva lasciato sul tavolo della colazione. In tutto quello che era accaduto, si era dimenticata di averlo ancora con se. Lo prese fra le mani, sorrise e ancora una volta parlando a se stessa:
“Tutto questo spreco di carta per scrivere una riga!” - il sorriso si allargo’.
Per riflesso, inizio a dispiegarlo, forse voleva osservare per l’ultima volta la grafia perfetta della donna dai capelli neri. Apri’ il foglio davanti a se e nuovamente un brivido le attraverso’ il corpo, una folata di vento la scosse’ leggermente all’indietro. La pagina era riempita di parole, scritte ad inchiostro nero, con una grafia perfetta. Rimase sconcertata. Chi aveva potuto scrivere su quel foglio, se era rimasto sempre addosso a lei?
“Se ora sono seduta qui, di fronte all’oceano, ho concluso il mio viaggio, partito senza una destinazione. Ho attrevarsato una terra sconosciuta, incontrato persone nuove, ho riempito il mio diario di ricordi e ho rispettato la regola che mi ero imposta, quando ho lasciato tutto. Non fermarti mai! Se non avessi incontrato l’uomo dagli occhi blu, non avrei mai conosciuto il mare. Ho seguito i miei pensieri, cercando ogni volta di fare la scelta giusta, anche se dolorosa. Ho spalancato le porte dei meandri nascosti di quell’uomo, al quale non ho mai chiesto il nome, ma ho lasciato che li esplorasse da solo. Avrei voluto farlo insieme a lui, prenderlo per mano e accompagnarlo nelle sue profondita’, ma temevo che, non avendo ancora incastrato fra loro tutte le tessere del puzzle, saremmo rimasti entrambe intrappolati nel buio. Sarei voluta rimanere li, leggere tutti i suoi racconti, che nel corso degli anni mi aveva dedicato, con la certezza che un giorno mi sarei presentata alla sua porta. Lo desiderava anche lui, ma per cambiare il mio destino, ed ignorare il suo, era cosciente che avrebbe dovuto rinunciare alla mia presenza nella sua vita. Senza che io lo abbia mai neppure immaginato, lui sapeva che solo di fronte all’oceano avrei potuto cancellare ogni confine che mi conteneva. Mi ha indicato la strada, soffocando il suo cuore. Sento lo spazio dentro di me distendersi e non provo piu’ timore ad abbandonare un sentiero, anche se ben segnato in una mappa. Immaginero’ i suoi occhi poi guardero’ le onde del mare. Firmato, Moon.”
L’uomo quella mattina era uscito presto fare una passeggiata lungo la spiaggia. Mentre era assorto nei suoi pensieri, con gli occhi cercava qualche conchiglia da raccogliere e riportare a casa. Passo’ accanto ad un grosso tronco di legno, la cui superficie era stata levigata nel tempo dall’acqua e la sua attenzione fu attirata da qualcosa che sembrava incastrata sotto di esso. Si avvicino, scavo’ leggermente con la mano e tiro’ fuori l’oggetto che era rimasto sepolto nella battigia. Sembrava un piccolo libro. Scosto’ la sabbia che vi era depositata sopra e vide che sulla copertina, di pelle nera, era stampato un simbolo, una luna color oro. Lo apri’ e sulla prima pagina qualcuno aveva scritto, con inchiostro nero e una grafia perfetta: “L’inizio del mio viaggio. Moon.”
All’improvviso, la voce di lei, si spense. Lui non sentiva piu’ il suo corpo posato sul velluto soffice del divano, ma aveva l’impressione di fluttuare nell’aria.Era completamente intorpidito e non aveva neppure la certezza che fosse rimasto sveglio per tutto il tempo, senza riuscirlo a quantificare. Inizio’ lentamente ad aprire gli occhi, la luce delle candele che aveva precedentemente acceso illuminava gli oggetti della sua casa. Lentamente, stava riconquistando il controllo della sua persona. Volto’ leggermente la testa, vide la tenda bianca e, oltre il vetro, la luna si era alzata nel cielo. Si volto’ dall’ altro lato e vide lei, rimasta nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata prima di chiudere gli occhi. Si sentiva attraversato da una vibrazione, il cuore gli rimbombava dentro al torace. Prese la su mano, lei non oppose resistenza, se la porto’ sul volto, poi con le dita di lei inzio’ a sfiorare gli angoli della sua bocca. Si alzo’ leggermente con il corpo, con la sua mano ancora stretta nella presa, si avvicino’ al suo volto, vide il riflesso della luna stampato sulle pupille nere, incastonate nei suoi occhi nocciola e la bacio’.
Si ritrasse delicatamente indietro, sciolse la mano che stringeva quella della ragazza e si alzo in piedi. In pochi passi arrivo di fronte ad una mensola, appesaalla parete. Sollevo’ un braccio, afferro’ una clessidra, fatta di un telaio di plastica scura, finemente intarsiato, che conteneva due ampolle collegate da un canale sottile e la capovolse. La sabbia rossa inizio’ a cadere, dopo un piccolo salto nel vuoto, nel contenitore inferiore. Due universi separati, sembravano comunicare. Poi si volto’ nuovamente verso di lei, e disse: “accadra’ solo questa sera e per entrambe rimarra’ un ricordo, di quelli che ci si domanda, senza risposta, se sia mai esisito veramente.” Si lascio’ andare sul divano accanto a lei. L’aroma sconosciuto della candele profumate, sapeva ora di orchidea. Poi una folata di vento, proveniente forse da una finestra lasciata aperta, spense tutte le fiamme. Il buio li avvolse, mentre i granelli di attimi della clessidra, continuavano a scorrere implacabili.
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